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coso; Eleonora Arborea, che dava alla Sardegna
le leggi più liberali del suo tempo; Catterina da Siena che sapeva imporsi alla Corte
papale per lo meglio d’Italia; Chinzica che difendeva Pisa contro gli Arabi; Isotta, signora
di Rimini, che vi faceva regnare le lettere, restandone pur essa coll’eminente suo genio il primo lustro; Adelaide di Susa che fondava nel 1091 quello stato donde escir dovea più tardi l’iniziativa unificatrice d’Italia; Marzia Ubaldini, alla quale Rocca di Cesena deve la sua valorosa difesa del 1357 contro le armi papali; Catterina Appiani Orsini che difendeva Piombino contro Alfonso d’Aragona; e, per tacere di mille unità, la resistenza delle donzelle
venete all’invasione turca, il valore delle dame toscane combattenti ai fianchi di Ferruccio, la viva parte presa sempre dalle italiane nelle
sventure e nei trionfi della patria, provano assai non aver mai la donna, in Italia, preso sul serio
quell’ostracismo dalla vita pubblica che le dottrine dell’Asia, e lo scetticismo ellenico, tentarono, coalizzati col misoginismo cattolico, di innocularvi.
Che se la vita politica trovò la donna parteggiatrice, la vita intellettuale fu in lei così potente da forzare a renderle omaggio i più decisi avversarii. Il solo secolo XVI produceva tante poetesse da meravigliare altamente Lodovico Ariosto; e non v’ebbe città importante della penisola che non se ne onorasse. — Camilla Scarampa —