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animalità, sempre più diretta nella sua condotta dalla Ragione, che è poi Salute, Bellezza, Verità e Giustizia, dovrebbe proporsene la definitiva esclusione dalla vita normale dei popoli civili; sanzionare per essi, quando ogni emenda si sia dimostrata vana, la pena di morte è il mezzo più radicale per combattere il delitto in sè e nella sua ereditarietà. Dubitano perciò molti sociologi, psicologi e giuristi, se l’abolizione della pena capitale non abbia contribuito a peggiorare le condizioni della Morale pubblica, incoraggiando i delinquenti, massime a riguardo dei crimini di sangue, in quei Paesi che hanno adottato i principî umanitari di Cesare Beccaria: e nomino l’Italia. Il quesito è arduo, nè può essere qui trattato come la sua importanza lo richiederebbe. Certo, le statistiche criminali degli Stati dove ancora funziona il carnefice, paragonate a quelle degli Stati abolizionisti, non sono per ora troppo favorevoli alle legislazioni che risparmiano la vita agli assassini per brutale, istintiva malvagità o per premeditata cupidigia rapinatrice, ai parricidi, ai dominati da orrende perversioni sessuali: questi sono veri mostri anti-umani, al cospetto dei quali il nostro senso etico inorridisce e che nessuno compiange se vanno al patibolo. Il Richet, coerente al principio selezionistico, ne propugna lo sterminio assieme a quello dei mostri fisici.

La Scuola Italiana di Antropologia, erroneamente accusata di tenerezze verso il delin-