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dei feriti. Fin dal secolo XVI il grande chirurgo Ambrogio Parè protestava contro l’uso dei soldati francesi di finire sul campo di battaglia i loro compagni feriti, sia perchè penassero meno, sia per impedire che cadessero sotto il pugnale rapinatore delle masnade tedesche di Carlo Quinto. E un altro più moderno chirurgo militare, il Desgenettes, che aveva seguìta la spedizione d’Egitto col Gen. Bonaparte, e vi era diventato popolarissimo pel coraggio addimostrato nell’injettarsi a scopo scientifico il secreto d’un bubbone di appestato, seppe resistere alle ingiunzioni del celebre condottiero, che a Giaffa pretendeva dai medici che somministrassero dell’oppio ai soldati agonizzanti per peste, onde farli morire senza sofferenze: “Il mio dovere, rispose Desgenettes, non è quello di uccidere, ma quello di conservare in vita!„. Anche un medico inglese, Enrico Holland, dava la medesima risposta a Mehemet-Alì, il famoso massacratore dei Mammalucchi d’Egitto.

Non credo che oggidì diverso sarebbe il contegno dei medici e chirurghi militari, che pur veggono le più atroci mutilazioni e assistono agli strazii più orrendi della creatura umana dopo che la nuova, formidabile tecnica delle armi da fuoco, la barbara introduzione dei gaz asfissianti e la esasperante guerra di trincea hanno moltiplicato le occasioni per augurare ai poveri feriti, più che cure spesso inefficaci, la liberazione definitiva