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solo può contenersi anche la motivazione dei mali fisici, come pur quella del decadimento per decrepitezza: ma l’accenno più esplicito è quello del suicidio penale.

Epicuro, a sua volta, insegnava che “si dee aver cura che la vita non ci dispiaccia, nè si deve volere abbandonarla, se pure la Natura o qualche insoffribil caso non ci chiami. E allora si dee meditare se sia più comodo che la morte venga a noi, o che noi andiamo alla morte, imperocchè certo è male vivere nella necessità, ma non vi è necessità alcuna di vivere in essa; vedendosi palesemente che se la Natura, siccome ha dato un adito solo alla vita, così ce ne ha date molte uscite„. Epicuro però, colto da dolori atrocissimi, lasciò far la Natura e non si uccise, quantunque in conformità della sua dottrina giudicasse che bisognava uccidersi ogni qualvolta la somma dei dolori superasse quella dei piaceri.

Un altro dei più antichi eutanatisti fu in sostanza quel filosofo greco di nome Egesia, ma soprannominato Peisithanatos, cioè il “Persuasor della Morte„, che in Cirene verso il 300 pr. di Cristo, dopo avere insegnato essere il piacere il solo bene e il dolore il solo male, riconosceva irraggiungibile la felicità in questo mondo, e perciò predicava che la sola vera saggezza era di rinunciare alla vita. Plutarco narra che spinti dalla sua eloquenza pessimistica, molti suoi ascoltatori si suicidavano, e che Tolomeo fece chiudere