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dell’America precolombiana e perfino della post-colombiana, e anche presso molti popoli che fanno parte della Storia classica universale, Egiziani, Caldei, Assiri, Ebrei, Greci, Trojani, Persiani, Romani, Galli, Germani, Goti, Unni, per lunghi secoli i feriti, specialmente fra i vinti, non trovavano mercè; ai loro urli e gemiti di dolore, alle loro suppliche di risparmiarli, alle loro imprecazioni, il vincitore rispondeva massacrandoli spietatamente; che anzi, presso i popoli cannibali non si aveva e non si ha riguardo di adoperare i feriti quale “carne da macello„, portandoli senz’altro davanti al fuoco ed esponendoli con feroce indifferenza a lenta cottura!

Lasciamo incerto il significato psicologico del celebre gesto del “pollice verso„, col quale nei Circhi Romani il gladiatore caduto sull’arena era condannato ad immediata morte; nei più degli spettatori e delle spettatrici, avvezzi a quelle carneficine, epperciò poco compassionevoli, avrà prevalso il feroce piacere di vedere come si moriva, ma non è escluso che in certi casi la pietà verso gli agonizzanti spingesse ad esigerne una più sollecita fine. Ma in guerra i Romani facevano pochi prigionieri (o schiavi).

Parrebbe che un certo elementare sentimento di pietà dei vincitori o dei combattenti in genere verso i caduti non ancora spirati, siasi propagato nel Medio-Evo, non tanto per il Cristianesimo, quanto per i prin-