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Nell’isola di Céos, fra le Cicladi, detta ora Zea, narrano Menandro, Strabone, Eliano e Valerio Massimo, che usassero gli abitanti, giunti oltre ai sessanta anni, avvelenarsi, sia per lasciar più mezzi da vivere agli altri, sia per scansare le debolezze e gli acciacchi dell’età, sia perchè riconoscessero di essere ormai divenuti inutili alla patria. È dubbio se il suicidio dei vecchi di Céos fosse imposto da Leggi o non fosse piuttosto una usanza locale, secondo che ritenne il Bayle nel suo famoso “Dizionario„. Sappiamo però che a Marsiglia, città di civiltà mista, fra la Greca e la Romana su di un fondo Celtico, il suicidio era autorizzato purchè giustamente motivato. Scrive Valerio Massimo: “Si custodiva pubblicamente in quella città il veleno, il quale si concedeva a coloro che mostrassero di avere buone ragioni di uccidersi ai 600 (DC); chè questo era il numero e il nome del Senato... Era vietato uscir di vita temerariamente, e si prestava un celere passaggio a chi desiderava morire sapientemente„ (Lib. II, cap. 6).

Recentemente si è scritto che tali racconti non sono forse veridici, almeno a riguardo di una legislazione apposita (Bouquet); però il loro numero troppo grande, le analogie con quello che usavan fare altri popoli dei loro vecchi, come vedremo, la stessa morte di Socrate avvenuta per suicidio comandato e riproducente un costume penale di antica origine, lascian credere che quegli autori