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ficata dal giovane sublime di Nazareth), si ha l’idea rabbrividente che il morire a quel modo sia spaventosamente doloroso; forse si giuoca sull’equivoco quando si parla di dolcezza nel momento del trapasso perchè il moribondo è impotente ad esprimersi. Quel momento supremo sarà, è, vero, sempre una frazione millesima di secondo, computato nel tempo; ma, che cosa sarà, computato nella essenza della Vita?


Il principio della Eutanasia.


Comunque si risolva in Fisiologia e Psicologia il problema subiettivo della “buona morte„, cioè se il morire sia penoso o piacevole (qualcuno ha osato dirlo indifferente), gli Uomini di tutte le razze e nazioni, di tutti i tempi, di tutti i gradi di civiltà, — salvo nelle crudelissime sanzioni di certi loro Codici o Usi penali, che per ironia chiamarono Giustizia! — hanno cercato di rendere l’agonia il meno penosa che fosse possibile; e di fronte alle malattie arrecanti sofferenza fino all’ultimo o più a lungo e senza rimedio, hanno meditato e discusso il quesito se non convenga rendere più sollecita quella fine; talvolta l’hanno affrettata, non tanto materialmente parlando, quanto con la propaganda in pubblico, col desiderio in privato. Si tratta insomma di sapere se sia lecito, cioè morale