Pagina:Morselli - L'uccisione pietosa (L'eutanasia), Torino, Bocca, 1928.djvu/23

Il Feré supponeva di trovare una spiegazione fisiologica al presunto senso di euforia che proverebbe il morente. Le cellule cerebrali, intossicate dai veleni dei tessuti in dissoluzione, analoghi a quelli che oggi diconsi i fermenti diastasici di Abderhalden, entrerebbero, secondo lui, in un breve stato di ipereccitabilità che darebbe ragione anche del ben noto fenomeno degli ultimi sprazzi di intelligenza, delle improvvise rimembranze, dei ritorni linguistici infantili, che precedono tante volte la morte, ad es., anche nei dementi, nei paralitici. Egli parla pure di una ipereccitabilità psicomotrice, che corrisponderebbe ad una esaltazione psichica con senso cenestetico di benessere. Ma pare che lo spettacolo dei moti istintivi che fa il morente, massime se robusto e giovine, o sorpreso da morte rapida e imprevista, non deponga in favore della ipotetica dolcezza del momento fatale. Potrebbero dirlo per obbiettiva esperienza i medici che hanno assistito i feriti di guerra. La descrizione orrenda di un campo di battaglia durante la mischia o subito dopo, coi gridi strazianti o coi lamenti sempre più fievoli dei moribondi, non sembrano favorevoli alla tesi ottimistica! Il Binet aveva, del resto, rilevato che anche nella ipotesi dell’anestesia-analgesia agonica, questa potrebbe dare al più uno stato negativo, non un sentimento positivo di benessere.

Il fatto reale si è che le morti “serene„ e