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sito della inutilità individuale, e non già della intollerabilità di un male; 2° che nei casi di intolleranza di sofferenze “psichiche„, la legittimità del verdetto eutanatistico sarà sempre relativa, o in quanto le sofferenze turberanno la coscienza del malato fino alla insensibilità ed all’assenza di libero volere, e si ricadrà nel dubbio se convenga dare o lasciar dare la morte a degli inconsapevoli; o saranno affermate dallo stesso paziente desideroso di liberarsene, e si avrà ancora il dubbio di un’esagerazione da iperestesia o di una pura auto-suggestione, come accade agli ipocondriaci, ai neurastenici, alle isteriche. Rilevo d’altra parte che qualora il Tribunale ed il P. M. giudicassero dannoso agli interessi della famiglia e quindi vietassero l’omicidio pietoso o il libero suicidio del paziente, questi sarebbe costretto dagli interessi altrui a sopportare ancora la vita coi suoi tormenti: in che allora gioverebbe l’aver proclamato il principio dell’eutanasia a benefizio di chi soffre? La felicità, o meglio, la fortuna (evidentemente materiale) degli altri, gli importerebbe l’obbligo di tollerare la propria infelicità.

Per conto suo, il Grispigni ritiene che la coscienza etico-giuridica del nostro popolo non sia ancora tanto matura per attuare provvedimenti di tale portata. Anzi, dato che la scienza medica non è in grado di pronunciarsi sulla “inguaribilità„ di certe malattie, egli si augura che la nostra Legislazione,