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l’uomo può disporre della sua esistenza, e che quindi il suo consenso (a morire) discrimina ogni atto di chi, concorrendo in qualunque modo a questo esito finale della sua morte, non sia determinato da motivi illegittimi ed antisociali„ (p. 52). Ma ad una completa “giustificazione„, che vorrebbe dire impunità assoluta, altri giuristi e sopratutto sociologi, ad esempio Gabriele Tarde, obiettarono fin d’allora il pericolo di creare in tal modo delle pericolose eccezioni alla norma fondamentale della convivenza civile: “Non uccidere, nè rubare„. Il Tarde, inoltre, trovò vago e suscettibile di varia interpretazione il principio della legittimazione dell’omicidio con il consenso: soltanto in un caso pareva all’eminente sociologo che si potesse dar ragione al Ferri “senza restrizioni„; e cioè quando l’omicida agisse per motivi di origine “naturale„ piuttosto che sociale, e perciò tanto più legittimi, quali sarebbero la pietà, l’amore, e quando anche i motivi che determinassero la vittima a chiedere la morte fossero essi pure di origine naturale, qual’è il caso di malattia tormentosa e disperata.

Il Grispigni, occupandosi dell’uccisione del consenziente, è stato condotto ad esaminare, sia pur brevemente, il quesito giuridico se sia eventualmente disciplinabile nei riguardi del Giure la eutanasia, o, come egli dice, quell’“assassinat médical„, con cui si vorrebbe sottrarre una persona alle sofferenze di una malattia inguaribile, producendole o