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siamo quasi sempre meno consapevoli), egli non è più in grado di resistere, ed il triste evento si avvera non ostante la sua desolazione. Intendo dire con ciò, che non si ha “colpa„ della propria insania mentale, e che perciò questa è altrettanto meritevole di indulgenza e di simpatia quanto la più fisica o somatica delle malattie. Vi è stata bensì una scuola psichiatrica che ha preteso di spiegare la pazzia come una “malattia dello spirito„, anzi come un “peccato dell’anima„; ma questo grossolano errore, in cui cadde la Medicina tedesca nella prima metà del secolo XIX, non entrò mai nella Psichiatria nostrana; qui, da Sementini e da Chiarugi in poi, si è sempre opinato e tuttora si opina che la causa della pazzia risieda in un dissesto del cervello, il più di sovente originato da fattori estranei alla personalità morale dell’infermo. Perciò noi Latini, appunto perchè convinti del nostro cauto e sobrio positivismo, reputiamo inumano, iniquo ed anche sostanzialmente inutile agli scopi della stessa Eugenica comminare la morte agli infelici che la follia accumula nei Manicomii.

D’altra parte, quegli alienati, che compongono la popolazione permanente degli Istituti psichiatrici, perchè la follia dopo averli travolti nelle sue spire ve li abbandona quali “misere spoglie„, non sono tutti eguali; sotto l’aspetto del loro parassitismo sociale essi si dividono in due gruppi. Ve ne sono di quelli che versano in continuo e totale