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primi quando il processo cerebrale ha dato luogo a fatti motorii permanenti e quando si combina ad epilessia senza tregua negli accessi, e come si scorge fatalmente negli altri, massime nell’infausta demenza paralitica o in quelle demenze cerebropatiche che conducono al marasma. Senza dubbio, lo spettacolo di uno di questi infelici che giorno per giorno si consuma, per così dire, sotto i nostri occhi, che immerso nelle sue deiezioni scende ad un livello inferiore al bruto, che va illanguidendosi e spegnendosi senza bagliore alcuno di ragione: questo tristissimo fra tutti i quadri che l’esercizio della Medicina ci possa offrire, strappa dal fondo del nostro cuore un grido di orrore misto ad un impulso di rivolta contro il Destino, e ci fa balenare alla mente l’idea di farla finita con tanto avvilimento della persona umana. Ma intanto si sa o si suppone su buoni motivi che quegli infelici siano incoscienti e non avvertano l’abisso fisico e morale in cui sono caduti: e allora perchè privarli di quel resto di vita vegetativa?

Ma dato pure che in questi stati di malattia la coscienza sia o paia a noi ottenebrata fino ad esservi quella chiamata dai poeti la “notte dell’intelletto„, noi dobbiamo fare due rilievi importanti dal punto di vista del giudizio eutanatistico. Il primo, di carattere medico e pratico, è che fra lo stato di assoluta apsichia ed alogia, quale noi vediamo nell’idiota assoluto e nel de-