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mente se si tratta di infermità comuni; ma non si hanno ogni giorno esempî di errori fenomenali? Su questo punto stimo inutile insistere, tanto la incertezza dei nostri prognostici è evidente a chiunque non sia fatuamente cieco di fronte alla verità. Non si negano i progressi della Patologia con questa dichiarazione, ma si manifesta almeno un po’ di spirito filosofico: la Scienza è relativa, e sarebbe ora che i medici si liberassero dell’assolutismo dogmatico imperante ancora in certe Scuole, massime nei laboratori di sussidio alle Cliniche. Non essendo sicuri sull’esito di ciascun caso singolarmente esaminato, nessun medico si sentirà tranquillo nell’accettare il principio dell’Eutanasia al letto di quegli infermi, che, pur nella sua esperienza e dietro criterî biologici generali, può proclamare “condannati„: l’esperienza di un uomo è ben piccola di fronte alle possibilità di Natura.

Nel citato progetto Tedesco l’art. 5 prescrive che in ogni caso di uccisione legalizzata si proceda all’autopsia per accertare i reali guasti arrecati dal male; ma a che servirebbe aprire un cadavere quando pure vi si dimostrasse, come non di rado avviene, uno sbaglio di diagnosi clinica? Qualche anno fa fece grande impressione uno scritto del dottor Cabot (“Journal of the Amer. Medical Association„, marzo 1915), che si prefisse di verificare quanta fosse la perizia diagnostica dei suoi Colleghi del Nord-America, i quali