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Ma quando accortamente si informi sui precedenti del caso e sappia definire la causa di quell’apparente stato di morte, il medico prudente avrà quasi sempre modo di scampare al rischio di rilasciare un’attestazione o affermazione intempestiva.

Se in ogni caso di morte occorre andare guardinghi prima di giudicare che l’individuo è realmente trapassato, se i segni assoluti della morte reale ci mancano tuttora e quelli che si ritengono buoni rimangono pur sempre incerti e relativi, ne consegue che la diagnosi di prossima, sicura morte, è circondata da difficoltà assai più forti di quello che comunemente e troppo facilmente si creda. Io penso con raccapriccio al momento in cui, sanzionato il principio dell’eutanasia, potessi essere invitato a pronunciare la mia sentenza, anche se confortata dal consenso unanime di un Collegio o di un Tribunale medico; da solo, non mi sentirei quasi mai in grado di esprimere un diagnostico netto e infallibile di morte imminente: associato a colleghi, penserei che essi, come me, mancano di un criterio sicuro. E così, forse, mi troverei nel più dei casi costretto a negare la mia firma alla sentenza di “uccisione pietosa„. Vorrei insomma adottare in ogni consimile evento il motto che Douté mise in testa ad una sua Dissertazione della Sorbona nel 1682: “Ergo metu quam audaciâ medicus felicior„.

Quei nostri vecchi Colleghi avevano una