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il vero. Non fu però irreligioso, nè ateo, come molti dei suoi avversari ortodossi lo presentarono agli occhi impauriti del volgo: intese la religione in un senso molto più elevato, direi quasi in un senso filosofico e senza ombra di sentimento. Noi, rispettando queste sue convinzioni, lascieremo irresoluto il quesito se ciò fosse per disegno o per illusione. Certo, se ei credette, le sue credenze non gli oscurarono la vista profonda delle leggi ineluttabili ed eterne della natura: ad ogni modo seppe distinguere il dominio della scienza da quello della religione, quando in fine dell’opera sulle Variazioni pose il principio della creazione per opera d’un’Intelligenza provvidenziale accanto alle difficoltà per noi insolubili del libero arbitrio e della predestinazione.
Fu colmato di onori ambitissimi e godette fama mondiale, ma non ricercò nè gli uni nè l’altra, come non si curò del disprezzo e delle offese. Quando uscì la celebre sua opera sull’Origine delle specie, la setta dei credenti gli mosse acerbissima guerra, e s’ebbe a Down lo spettacolo tristissimo del Darwin fatto segno alle minaccie e mostrato a dito dalla folla vigliacca ed ignorante: si giunse anche ad insultarlo, negandogli un posto nella sala delle pubbliche riunioni. Più tardi queste ostilità cessarono: il clero con la solita elasticità di coscienza, mostrò d’adattarsi alla nuova corrente di idee, gridando ai quattro venti che il darwinismo non era contrario alla religione: gli animi allora si chetarono, e il volgo, sempre uguale a sè stesso, finì nelle circostanze di Beckenham col venerare il Darwin come un essere sovrumano. L’aspetto del grande scienziato era veramente tale da conciliargli codesto universale sentimento di venerazione.
Ebbe Carlo Darwin alta statura, fisionomia seria e pensosa, fronte spaziosa e diritta, occhio vivace e benevolo ad un tempo, barba lunga e folta che incanutita dagli anni gli finiva sul petto. Chi osserva quella nobile testa di vegliardo, non può a meno di notare lo straordinario sviluppo dei lobi frontali ed un’apertura così grande dell’angolo facciale quale soltanto gli artisti dell’antica Grecia raffigurarono nel divino volto di Giove. Ad onta di una apparente robustezza di corpo, la sua salute era da lunghi anni assai turbata: dal viaggio sulla Beagle egli aveva riportato un’ostinata dispepsia, che l’obbligò fin da prima a ritemprarsi le perdute forze nella vita libera ed aperta dei campi. Più tardi l’età gli recò triste dono d’una malattia al cuore, che angustiò i suoi ultimi anni e più volte