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leggi nuove. Io non dirò dei rapporti che il suo genio seppe scoprire fra i fatti già posseduti dalla scienza: la teoria dell’elezione ci stupisce, appunto per ciò che essa si è fabbricata con materiali vecchi, che tutti avevano sotto mano senza comprenderne il valore. Per quanto le scoperte originali del Darwin siano molte, massime nel dominio della biologia botanica, pure convien riconoscere che la grandissima maggioranza delle prove fu da lui desunta dagli scritti e sui lavori altrui; ma il mirabile si è che neppure queglino donde egli attinse l’immensa moltitudine dei suoi esempi ebbero mai il sentimento chiaro della loro importanza teorica. E si capisce il perché: per apprezzare convenientemente tutti questi fatti, per vederne e indovinarne i mutui rapporti, per costituirli in gruppi e subordinarli a leggi generali, occorreva avere, come il Darwin, tanta potenza di mente da levarsi in alto e da considerare nello stesso momento e sotto lo stesso punto di luce tutti i fatti più diversi ed all’apparenza meno omogenei. Chi guarda dintorno a sé può ben distinguere le cose vicine e scoprirne tutte le minuzie; ma solo chi guarda dall’alto abbraccia la vastità dell’orizzonte e trova le grandi linee che la natura percorre nel produrre l’incessante succedersi dei fenomeni. Però questa tendenza altamente sintetica del Darwin non gli ha impedito di rivelarsi analizzatore paziente e minuto, come ne fan fede le sue esperienze personali, con questo di caratteristico e di tutto suo, che anche nei lavori speciali egli si manifesta sempre superiore a quanti altri ebbero fra mano quegli argomenti. Si è detto che il Darwin non fu sperimentatore, forse perché non praticò la vivisezione e si contentò di difenderla contro le leggi inglesi colla grande autorità del suo nome: ma alla sua gloria anche sotto questo aspetto basterebbero le indagini sulla fecondazione incrociata, sul movimento nei vegetali, sulle piante carnivore, sulla espressione delle emozioni nei fanciulli, sull’azione dei vermi terrestri, per non citare che le ricerche degli ultimi suoi dieci anni, quando cioè il trionfo del trasformismo l’avrebbe potuto indurre a lasciare ad altri il compito di portare nuove prove obbiettive ai suoi concetti teorici.

Della singolare perseveranza colla quale il Darwin si preparò alla trattazione del grande problema, è primo indizio quel suo lungo silenzio di venticinque anni rotto solo per consiglio e quasi per ingiunzione d’amici. Ma altra prova ci vien pòrta dalla successione cronologica delle sue opere. Una prima opera