Pagina:Morselli - Carlo Darwin, Milano-Torino 1882.djvu/21

Prima di tutto la potente intelligenza del Darwin e forse la stessa vita campestre lo indussero a riconoscere l’importanza delle variabilità degli animali e dei vegetali nello stato di domesticità, quando a nessun altro naturalista precedente era mai balenato il sospetto che il processo di formazione delle specie domestiche coi limitati mezzi posseduti dall’uomo avrebbe potuto spiegare anche l’origine delle specie allo stato di natura. Questo punto di partenza del trasformismo non era del tutto nuovo: è vero che né il Goethe, né il Lamarck, né Stefano Geoffroy, né l’Owen, né altri evoluzionisti vi avevano posto mente, però lo troviamo più o meno esplicitamente accennato dall’Herbert, da Isidoro Geoffroy, dallo Spencer (nel 1852), dal Naudin e forse anche da altri. Ma nel Darwin la convinzione fu fin da prima più profonda: ed egli stesso confessa che per preparare la soluzione del problema oscuro dell’origine naturale delle specie si prefisse uno studio accurato degli organismi addomesticati o coltivati, con la sicurezza di giungere a un concetto più chiaro sui mezzi di modificazione e di adattamento impiegati dalla natura. Ora questo studio delle variazioni sotto l’influenza dell’addomesticamento era stato assai negletto: tutti i naturalisti e i filosofi favorevoli all’evoluzione s’erano sempre ristretti all’influenza delle condizioni esterne, come il clima, il nutrimento, ecc., senza cercare se esistevano altre cause di variazione nell’interno, per così dire, degli organismi stessi. Il Lamarck era stato il più grande sostenitore della trasformazione delle specie sotto l’influenza dell’«ambiente»: secondo lui, la metamorfosi avveniva per l’adattarsi (adaptation) ed abituarsi (habitude) delle forme organiche alle diverse condizioni di esistenza; lo sviluppo e la energia degli organi erano costantemente in ragione dell’uso, che l’essere faceva di questi organi medesimi, e in quanto alle modificazioni esse si trasmettevano per le leggi ineluttabili dell’ereditarietà. Ma se l’abitudine è un fattore importante dell’evoluzione delle forme, se l’eredità ha realmente il potere di fissare per molte generazioni i nuovi caratteri acquisiti dall’individuo, non resta men vero che l’influenza dell’adattamento deve essere intesa in un senso molto più largo e svariato di quel che la comprendesse il Lamarck, al quale poi, nell’applicazione delle teorie genealogiche alla classificazione animale, vuolsi anche far carico d’avere lasciata incerta ed irresoluta la origine dei Vertebrati e d’aver taciuto completamente su quella dei vegetali.