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Per la mia generazione è impossibile dimenticare il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro. Nati poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, con le memorie ancora visibili delle distruzioni e dei lutti e con la minaccia dell'olocausto atomico sempre presente, in molti abbiamo aderito al pacifismo e alla non violenza, rifiutato ogni totalitarismo e sperato in una politica senza guerra. Gli assassini di Moro erano inoltre dei coetanei, dei “giovani”, che avevano fatto una scelta radicalmente diversa. Quelle giornate atroci causarono una ferita profonda a tutti i livelli della società italiana. Ma oggi, come raccontiamo ai nostri figli quella tragedia del nostro recente passato? Come superiamo le emozioni per entrare nel campo della storia? I giovani vivono oggi immersi in un fluire costante di informazioni omogenee, inodori, insapori. Il contatto con le emozioni e con gli eventi è mediato da uno schermo, con cui hanno un rapporto solitario, di uno a uno. Nel chiuso di una stanza si formano le loro opinioni. Sono molto informati su avvenimenti di ogni tipo dai quattro angoli del globo, per loro assimilabili a quelli più prossimi. Il senso della polis, dell’appartenenza a una comunità con le sue regole, con la sua identità si allenta giorno dopo giorno. Diviene difficile un’analisi più circoscritta e approfondita del mondo circostante. Molti sono gli aspetti positivi di questa apertura: sentirsi cittadini ovunque, reperire informazioni a bassissimo costo, colloquiare a distanza. Ma non pochi sono i pericoli. Solo uno studio approfondito permette di ricostruire un contesto, mentre oggi perfino le ricerche bibliografiche sono divenute obsolete. Da un lato si guadagna tempo, si esercita la memoria per ricordare come reperire un’informazione nella sconfinata rete mondiale, dall’altro, una volta ottenuta, spesso non si ha la pazienza di compararla, attratti da nuovi fatti, da nuove curiosità. Raramente, inoltre, se ne discute con gli altri in un confronto aperto e collettivo, in un dialogo serrato. Resta il patrimonio individuale di idee e di convinzioni da utilizzare per fini diversi. La storia e i suoi episodi divengono oggetti separati.

La memoria collettiva in tal modo si frammenta, scindendosi in tante memorie individuali e si rischia di perdere il senso e la rilevanza di un evento. Per questo motivo sono stati fondati musei e istituzioni con lo scopo preciso di tenere vivo il ricordo di avvenimenti terribili da ogni punto di vista, soprattutto di quelli dettati dall’odio e dall’intolleranza. Perfino l’olocausto ebraico, nel quale milioni di persone persero la vita per mano dei carnefici nazisti e dei loro alleati, ha bisogno di un luogo o di più luoghi per non essere dimenticato. Recentemente New York ha inaugurato un Memorial per le vittime della strage dell’11 settembre 2001. L’Italia repubblicana finora non ha sentito la necessità di dotarsi, a livello centrale, di istituti o musei votati a narrare gli eventi che ne hanno segnato il cammino. Invece a livello associativo sono nate diverse iniziative, tra cui la Rete degli archivi per non dimenticare, che unisce molte realtà, spesso promosse da familiari e parenti delle vittime degli atti di terrorismo o di stragismo, e punta sulla digitalizzazione e la