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guardiamo in faccia la colpa, ne vediamo tutta la profondità e vi ci gettiamo a capofitto, senza calcolo, senza sotterfugio, perchè ci trascina il cuore, la fantasia, che so io.... perchè è destino.
— Il cuore hai detto, Elena?
— Sì il cuore, ma non diciamo sciocchezze, quando un uomo ragionevole fa una cosa, il rimorso è perlomeno inutite se non è assurdo.
— Hai ragione, m’ami Elena? neh che mi ami? vedi senza di te la vita sarebbe insopportabile, tu sei tutto.....
— Tutto? e Diana?
— Elena, Elena, non parlarmi di lei, sei tu che cerco, sei tu che amo, sei tu che sogno, che vedo dovunque come una larva benigna, sei tu che mi svegli dal mio torpore d’uomo inutile a sè ed agli altri, che mi abbellisci la via spinosa, vuota, col tuo sorriso dolcissimo, sei tu, tu sola...
Tacquero un momento. La voce di Diana si sentiva ad intervalli, ma più lontana.
La contessa di Spa nell’ansia dell’aspettazione andava e veniva col cuore in tumulto, le mani che tremavano.
Si metteva nella poltrona del suo piccolo spogliatoio, poi si alzava di scatto, si puntava un fiore nei capelli e lo toglieva per rimetterlo. — Attilio non arrivava ancora! era assurdo, lui così in confidenza. Nel salone bisbigliavano il servo ed il conte Sangui; Diana ne sentiva la voce, e non si moveva: non c’era di che per quel povero conte così meschino nel suo eterno abito nero attillato, la gardenia all’occhiello, la faccia rasa