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dosi pacatamente nelle campagne, ingrossando, abbattendo d’improvviso, imponente, terribile.

Elena aveva strappato un cactus e lo esaminava:

— Conte, di chi è quella casa là bianca che s’erge fra le piante come un fiore?

— È casa Santelmo, colà l’amore sorride.

— Ancora?

— Sempre.

La marchesa alzò il capo, guardandolo stranamente. Chissà! rispose piano.

— Voi, Elena, non credete all’amore, non credete alla passione, non credete a nulla.....

— V’ingannate, Gastone, credo moltissimo.

— A tutto?

— A quasi tutto l’incredibile.

— Strano!

E come l’aria fresca del crepuscolo entrava scherzando, e scuotendo le glicinie in fiore, Elena stette aspirando la brezza, bella, strana, superba. sotto i raggi blandi del sole morente......

Vi amo, Elena, disse lui fremendo, serrandole le mani, Elena rispondete, vi amo, vi amo.....

La donna bellissima non tremò, non si commosse, lo guardò intensamente, a lungo, poi senza esitare, rispose piano: Grazie.

Diana non vedeva; un punto bianco s’avvanzava dall’estremità del viale, il cavallo di Attilio.

La donna gentile si alzò, e col suo bel passo da dea venne incontro al duca. Stettero un momento a guardarsi, muti, soffocati, scambiando