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— Vuoi che scendiamo in giardino?
Diana afferrò quella proposta con gioia convulsa:
— Dillo a queste signore, se vogliono.....
Ma la Torre aveva sentito:
— Andiamo, andiamo, l’ora è splendida, avete ragione marchesa.
La sera nel giardino rimasero soli Gastone di Spa discorrendo a mezza voce con Elena, che si distraeva di tanto in tanto a guardare l’orizzonte rossastro, col peso dell’ombra che le si posava su tutta la persona abbattendola, dandole un indefinito senso di tristezza.
Diana sedette in un angolo lontano, sopraffatta da una ondata di felicità acre, intensissima, da un desiderio pazzo di rimanersene a lungo inerte, sola, pensando; sentendo un bisogno invincibile, puerile, di ripetere centinaia di volte: Attilio, Attilio, Attilio.....
Era venuta. Lei dimenticava la sua catena, s’abbandonava al suo sogno divino, all’incanto misterioso d’averlo dappresso. Guardava intensamente il grande viale lungo, oscuro, che Attilio aveva attraversato a cavallo; aspettava di vederlo ricomparire colla stessa calma soavissima d’una fanciulla fidanzata; scordava la lotta, il pericolo; amava come aveva fatto sempre nel profondo del cuore. La sua passione s’allargava tranquillamente come un gran fiume che trabocca, ed inonda, e distrugge senza muggire, ma infiltran-