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di merletto nero; sul petto un gelsomino si perdeva, appassiva, ingialliva, corroso da un fuoco di passione, languido.....


Parlavano della marchesa Roccabruna una bellezza spagnuola, vedova di un ministro, che innamorava tutti senza pietà, senza eccezione, sempre sorridendo, incidendo il ferro nella piaga colla fermezza cruda di un professore d’anatomia, al solo scopo di conoscere le passioni umane, di sviscerarle, di studiarle, per suo uso e consumo, senza vantarsene, abbandonando il paziente tranquillamente, dopo averlo mezzo ammazzato di passione per lei, concedendogli la mano bianca da baciare.

La Gisanti un momento era stata zitta, assorta, pensando profondamente il modo d’ingrandire un fatto qualunque sulla Roccabruna. La sua faccia lunga e giallognola aveva delle piccole contrazioni nervose accanto agli occhi dove una sottilissima, precoce retina di rughe compariva; il naso sottile, acuto, aveva delle trasparenze di porcellana.

— Suo cugino Arturo Gandi s’è rotta la carriera per lei, disse la Castellaccio lasciando passare le parole fra la bocca schiusa al sorriso tranquillo di donna bella.

— Oh! Arturo, scoppiò subito la Gisanti, afferrando la frase, un fanciullo ammalato, un sognatore fallito; s’è innamorato prima dei capelli della marchesa, e ne ha fatto una poesia,