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Elena appoggiava il capo, in piccole macchie lucenti e tremule che parevano morsicature di fuoco.
Gastone sentiva uno strano benessere accanto a lei, così bella, così cara, così ingenuamente civettuola, abbandonata su quel sedile rustico, coi capelli che baciavano la scorza del grosso tiglio; sentiva un profumo indefinito che pareva di fiori, di ylang-ylang un misto soave e snervante.
Le prese una mano, Elena non la ritirò, non resistette, chiuse gli occhi, lanciandogli ancora un ultimo sguardo, lungo, assassino. Lui non pensò più a nulla, incoraggiato da quell’abbandono di lei, portò la mano alle labbra lentamente, trepidando, inebbriato.....
— Conte Gastone, siete pazzo, fece lei ad un tratto, sollevandosi, fulminandolo, rossa d’ira e di vanità.
Gastone le abbandonò la mano, pallido, esterrefatto, spaventato da quello scoppio improvviso. Elena ritornò subito calma, sparì il rossore, il lampo degli occhi si spense:
— Siete un fanciullo, conte, disse con voce mite, dolcissima, un grande fanciullo!
Lui le stava dappresso, soffocato dalla lotta, del suo cuore, soffocato dalla passione, col sangue che gli batteva i polsi, colla sete ardente d’un sorriso di lei, pazzo come un giovanetto innamorato la prima volta, allucinato da quella figura alta, bianca, svelta, che pareva un gran fiore staccato da una pianta colossale e strana.