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— Vieni, Elena?
— Ti prego, dispensami, io resto quì.
— Come vuoi.
La svelta ed alta persona di Diana si allontanò nell’ombra verde. — Elena si scosse, si drizzò, portò le mani alla bocca come per fare un portavoce, e chiamò forte: Conte Gastone!
Il conte che l’aveva vista a rimaner sola e s’avvicinava, accelerò il passo:
— Mia cara marchesa venivo appunto da voi.
— Che cosa avete fatto in tutto questo tempo, conte?
— Io? nulla; cioè ho sognato.
— Di bello?
— Di splendido, d’amore.
— Ah! l’amore. Sedette di nuovo, tutta lunga, colle braccia prosciolte, le mani che sfioravano il suolo, ed in cui il sangue affluendo, arrossiva un poco, gonfiando le vene azzurre; un piedino lungo, arcuato, calzato d’una scarpina bassa, elegante, era rimasta fuori dell’abito, un piccolo tratto di calza azzurra di seta si vedeva.
— Avete sonno, marchesa, devo andarmene?
— No, no, rimanete è lo stesso.
— Volete sognare anche voi?
— Io non sogno mai, ve l’ho detto, vi ricordate quella sera in principio..... cioè non è a voi. Elena rise vagamente, continuando a guardarlo cogli occhi grandi e luminosi; un raggio di sole entrando fra i rami batteva sopra il diamante d’un orecchino, che si spezzava in sprazzi luminosi ed andava a ripercuotersi sull’albero a cui