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— Infatti la sento, rispose Diana chinando ancor più la testa, perchè non era vero.
— Hai fatto viaggi lunghi sul mare tu?
— Così, da Napoli a Palermo.
— E soffrivi?
— Nulla. Il mare m’inebbria, m’affascina, m’attrae.
— Hai ragione, il mare è grande, infinito, divino; è un amante misterioso che non si può tradire, lo si ama sempre, tutta la vita. E, senti, tuo marito divide questi tuoi entusiasmi pel bello?
— Non so, non conosco mio marito abbastanza.
— Strano! ribattè la marchesa.
Poi tacque, arrovesciò la testa socchiudendo gli occhi, trastullandosi coi fiocchetti di nastro. Un colpo d’aria le sollevò i capelli sulla fronte.
— Viene il vento, mormorò pianissimo.
— Ti bacia, susurrò Diana.
Quelle due creature, ugualmente belle, ma diversamente belle, ugualmente delicate, ma stranamente contrarie di principi, di affetti, di aspirazioni, si fondevano, si completavano in quel momento, sedute dappresso, sotto il sole che allentava in quell’ora l’ardore dei suoi raggi, in mezzo ad una verzura ricca, coltivata, fra le campanule ed il muschio che scendevano a sfiorar loro i capelli.
Diana si alzò d’un tratto.
Un servo era apparso sul limitare del viale annunziando una visita.