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un cantuccio ignorato, ove il mondo, gli uomini sciocchi e cattivi, non abbiano ancora potuto penetrare; ove la malignità, la bassezza, la volgarità della gente si sia fermata alla porta. Tutto è bello, tutto è puro, tutto è incantevole!

— Sono lieta che ti trovi bene, magari lo aduli un po’, il nostro povero parco, rispose Diana, continuando a ricamare, colla testa china, il corpo eretto, il braccio lievemente inarcato a tirare il punto.

Gastone di Spa era un poco lontano, seduto sulla balaustrata di marmo bianco del parterre. Guardava giù, distrattamente, Firenze che appariva luminosa in quel trionfo di sole, e che in distanza pareva una città dipinta, un po’ confusamente ad acquerello.

Era in un fantastico abito da caccia di velluto rigato color marrone, un cappello alto a punta, con la solita piuma di fagiano, senza fucile, senza carniere, col cane accovacciato ai piedi; un bel bracco dalle orecchie lunghe, cadenti, dallo sguardo intelligente, umano.

Forse sotto a quelle punture di sole, in quell’ambiente soave, il cervello di Gastone si svegliava, le sue passioni si scuotevano, lo mordevano; il pensiero si rianimava, sentiva di essere giovane, ricco, ambizioso; desiderava follemente la vita, la vita vera, completa; sentiva che nella sua vita fatua di gran signore, gli mancava il gran tutto; l’amore. A Diana non pensava, non l’aveva amata mai, eppoi Diana era sua moglie, l’amore con lei sarebbe stato volgare, borghese, inutile.