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quella passione, e voleva costringerla in fondo all’anima, voleva schiacciarla col dovere infrangibile, inesorabile. Ma la passione più forte ritornava a bruciarla, a dilaniarla, a reclamare la sua parte di sole; l’assaliva come un demonio, ed ella torceva, straziava il suo povero cuore; colla febbre nel cervello, nel petto, nel sangue, gridava inesorabile: No.
Era quella l’espiazione di un peccato che non aveva fatto, della colpa soave e santa dell’amore! Ma allontanarsi da Attilio non poteva, sarebbe morta. Quando la notte era buja e senza stelle, Diana s’affacciava al balcone, figgeva gli occhi in quel trionfo del nero, e la testa ardente di pensiero si riposava accarezzata dall’aria; quella pace solenne e misteriosa la sollevava, le pareva di poter scendere meglio nel bujo dell’anima sua affitta e poteva piangere. Ma in quella lotta il suo amore e la sua coscienza si purificavano come il diamante, stando insieme senza toccarsi, senza macchiarsi, senza che un sol colpo potesse guastare o l’uno o l’altro.
Elena si alzò un momento, scosse l’abito bianco, leggero, a pisellini azzurri, ornato da fiocchetti di nastro azzurro al gomito ove finiva la manica e sulla spalla sinistra.
Aspirò un poco l’aria a pieni polmoni, abbassando e sollevando il petto regolarmente.
— Si gode una pace di Paradiso qui, mia cara Diana, io mi riposo, mi par di trovarmi in