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in un angolo tranquillo, lungi dal tumulto, sola coi suoi pensieri ed i suoi affetti, abbandonata ai sogni della sua fantasia, alla cura insistente del suo cuore ammalato.

Riceveva poche visite e moltissime lettere della madre che, con quel tatto tutto speciale dell’amore, cercava di lenire in lei una piaga che non conosceva, ma di cui sentiva istintivamente ammalata sua figlia.

Diana rispondeva con sei, otto, pagine del suo caratterino elegante, finissimo, ma di Attilio non le aveva detto nulla, neppure che l’avesse ritrovata. Era il primo segreto che facesse a sua madre, e ne provava rimorso, ma non sentiva la forza di rivelarglielo, pel timore ch’ella la richiamasse, la consigliasse, la strappasse dall’orlo dell’abisso. Diana si compiaceva di guardare nel baratro che le stava dinanzi, godeva di quella vertigine; tanto sapeva che non l’avrebbe fatta cadere. Voleva assaporare l’ebbrezza divina di aver Attilio dappresso, di sapere che l’amava, di sentirselo a dire; godeva della battaglia ch’essa combatteva lasciando lembi di cuore ad ogni colpo, striscie di sangne e di lagrime ad ogni passo.

Se aveva da morire, voleva morire da eroe, sorridendo al nemico, cadendo sulla breccia superba della sua innocenza, e del suo martirio.

L’amore era grande, infinito; il sacrificio doveva essere immenso; lei sentiva la forza d’una santa, lo zelo fervente d’un apostolo, il coraggio d’un disperato. Quell’uomo era la sua vita, e lei voleva vivere, s’era accumulata in sè stessa tutta