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CAPO IV.
La giornata era calda; solo negli angoli molto ombrosi del parco, e vicino alla fontana un’arietta sottile scuoteva le foglie, increspava l’acqua alla superficie, lievemente, e pareva accarezzasse con giri voluttuosi la Venere di marmo bianco, che sorgeva dal bacino nell’attitudine pudica d’una bagnante che, sorpresa dai fiori, dal zeffiro, dal cielo, si voglia schermire.
Vi era una coppia di cigni, ma non così bianchi, nè così intelligenti come quello del Lohengrin, che fuggivano starnazzando le ali appena si avvicinava qualcuno per guardarli.
Una pace soave, serena, occupava quell’angolo di terra ove la vegetazione più rara e più ricca cresceva rigogliosa, superba, completa, nella sua magnificenza. Un’immensa quantità di fiori belli, tutti preziosi, tutti fini, si guardavano sdegnosamente, confrontandosi, come facevano fra di loro le dame gentili, incaricate di strapparli dal gambo e posarli fra le treccie o sul petto.
Quel castello e quel parco erano un acquisto fatto dal conte di Spa, appena era giunto a Firenze; ivi Diana s’era ritirata, felice di trovarsi