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forse tutto il valore dell’entusiasmo di ciascun uomo in particolare.

Elena uscì a piedi, vestita di scuro, con una veletta bianca a mezzo il volto — come una piccola borghese, costeggiando l’Arno gialliccio, camminando in fretta, facendo dei piccoli sorrisi a chi la salutava. A mezza via vide il conte di Spa fermo sull’angolo, che guardava attorno coll’aria tranquillamente fatua d’uomo a cui la primavera dolcissima, l’aria mite e profumata, il cielo azzurro, non producono altro effetto che di fargli mutar il soprabito colla pelliccia in un altro leggiero color nocciuola, ben giusto alla vita, colle solite prime violette all’occhiello.

Il conte Gastone era un bell’uomo elegante, corretto, vestiva spesso il frak, e portava il cappello a cilindro, le scarpette lucide, i guanti imprigionati fra due bottoni dell’abito. Istintivamente a vederlo si pensava a quei certi mariti da commedia quasi sempre deputati, cavalieri, uomini politici, che si chiamano spesso: Roberto, Marcello, Dario o giù di lì, e visti dal palchetto sono tanto simpatici alle donne.

Dopo le ultime elezioni in cui era stato battuto dal conte Raul meno ricco di lui, ma più positivo, meno ciarlone e più sodo, s’era molto intiepiedito il suo fervore politico, era troppo debole, troppo vuoto per sentire violentemente il pungolo dell’ambizione, perciò sonnecchiava, occupandosi del bel mondo e del demi-monde come un giovane scapolo, facendo qualche leggiera corte, ma senza infervorarsi, contento di sè, dei suoi