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del vino, rincorrentesi, uguali rotonde come tante perline gialle.

Certamente la danza aveva trascinato potentemente tutte quelle creature belle e giovani o brutte e attempate, ma profondamente desiose di cacciarsi nella pazza vertigine del ballo, di quella antica e splendida follia che stordisce e procura tante squisite, intime sensazioni.

Certamente qualcuno s’era scordato l’ebbrezza del vino per l’ebbrezza di un sorriso, di una parola.

Diana era stanca, ripensava, ripeteva mentalmente le parole di Attilio, ed il suo cuore accarezzato da quell’amore potente, si struggeva di amarezza, si rivoltava di dover scendere a delle finzioni volgari.....

Tutte le parole cortesi, ardite o appassionate che le erano state dette in quella notte, da tanti uomini che l’avevano ammirata, le ronzavano indistinte, lei le confondeva nella mente e non ricordava s’era il baronetto Aquila che le aveva detto che era terribilmente splendida, od il contino Gandi, quel giovinetto tanto innamorato della Roccabruna che era invecchiato in due anni dietro le quinte fra le dive, ubbriacandosi per dimenticare, stando tutti gli intermezzi degli atti accollato al telone per vedere da un foro la vedova del ministro che si faceva corteggiare in un palchetto di prim’ordine.

Elena aveva arrovesciato la testa sulla spalliera della poltrona, aveva chiuso gli occhi, come se avesse avuto un estremo bisogno di riposo,