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tezze di fantasia ammalata, senza tensione di nervi. Raul pensava alla sua fidanzata, ed un rimorso lo pungeva di trovarsi in quel momento lontano da lei, in quella campagna solitaria e buia, con quella creatura bellissima che gli rubava i battiti violenti del cuore, che lo stordiva coll’incanto della sua persona, che appannava, che impallidiva la adorata figura di Costanza.

Pensava a lei profondamente cercando con disperato, intensissimo desiderio di ripercuotersi nell’animo le emozioni d’amore che per tanto tempo l’avevano incatenato.

— Mi avete compreso, conte - disse Elena ad un tratto.

— Marchesa, vi comprendo, vi ammiro, e... vi compiango.

— Anche?

— Anche, perchè l’amore è la vita.

— Lo dite voi, Raul, a cui l’amore sorride... siete felice voi, conte...

— Chissà! - esclamò Raul, che si sentiva la testa in fiamme. Si pentì subito, riprese stringendo convulsamente la mano d’Elena:

— Non merito l’amore di Costanza, marchesa, non lo merito.

— Perchè, Raul, perchè? domandò Elena, incalzando, colla voce soffocata.

— Perchè non l’amo abbastanza, perchè sono debole, perchè sono vile... perchè ripensando a lei ch’è una santa, a lei che mi ama, che ho adorato per tanto tempo, non ritrovo più il fascino d’allora, perchè quella figura d’angiolo m’appare fredda,