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Parlavano piano istintivamente perchè era buio d’attorno, perchè anche i fiori, anche le piante con un lieve fruscìo parevano farsi delle intime affettuose confidenze, perchè un fremito indistinto aleggiava in quell’aria fresca ed umida dell’autunno.

Elena camminava accanto al conte Raul, fermandosi ogni tanto, come stanca.

Lui guardava profondamente nell’oscurità della campagna come seguisse la sua visione che gli scintillava dinanzi, lei gli posò improvvisamente la mano sul braccio, una mano ardente e secca:

— Quanto arrovellarsi, quante battaglie quante vittorie, a prezzo del vivo sangue dell’animo, per l’eterna ambizione di voialtri uomini...

— Per la gloria, marchesa.

— E per l’amore, conte.

Si guardarono un momento; in quel buio del viale, solo il volto d’Elena spiccava bianchissimo.

— E per l’amore, avete ragione, marchesa.

Tacquero; quella mano piccola, bianca, le cui gemme che l’adornavano, avevano un bagliore strano, che a tratti pareva più intenso, tremulo, non si muoveva dal suo braccio, anzi s’appesantiva, pareva avvinghiarlo, pareva attaccargli un fuoco morboso che gli dava dei piccoli brividi; dai capelli di lei saliva un profumo sottilissimo che lo assopiva, provava lo stordimento dell’asfissia, quegli occhi lucenti, grandi, neri come abissi profondi lo incantavano. Mai aveva sentito tanto potentemente il fascino di quella donna come in quella sera buia, senza luna, senza palpiti di