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ciso in cuor suo, di gettare nell’urna un voto contrario, intimamente convinto di fare così un bene al suo paese.
Il segretario comunale, guardava, esaminava attentamente la faccia del sindaco, a cui doveva mille lire per un campo, e di cui si era messo a perfetta disposizione.
Il conte Gastone di Spa aveva pretestato quel pranzo tutto politico, coll’inaugurazione di un nuovo padiglione in una nuova vigna.
I pampini grossi, verdi, si piegavano sotto il peso dei grappoli, e tutti ammiravano quel primo raccolto ch’era stupendo. Il conte Raul, invitato da Gastone, era venuto non pel pranzo, ma dopo; era venuto per convenienza, per finezza, ed anche per furberia.
Le persone si dividevano a gruppi, sparpagliandosi pel parco, le signore al braccio dei cavalieri, cercando ogni modo per mescere bene la borghesia ed i nobili, e non riuscendovi che a metà, restando ciascuno al proprio posto per naturale attrazione.
Diana affascinava colla sua grazia squisita, resa più bella dall’agitazione interna del suo cuore; Elena era splendida, rideva con tutti, motteggiava il dottore, che le rispondeva molto bene, la confondeva anche colle sue risposte superiori dell’uomo d’ingegno, che non vede altra corona che quella d’alloro, altro blasone che la gloria.
Fu il sindaco che diede il segnale del congedo, inchinandosi profondamente, ammicando