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simo, diceva di non curarsi “d’evitare la confusione del barbarismo, e di disprezzare l’esatta collocazione delle preposizioni, e l’osservanza dei casi da esse richiesti; poiché gli pareva una vera profanazione (quia indignum vehementer existimo) il restringere la parola del celeste oracolo sotto le regole del grammatico Donato.„1

Verso la metà del sec. VIII, un prete della diocesi di Magonza, avendo forse seguito alla lettera gli ammonimenti già dati da Gregorio Magno, battezzò un bambino con queste parole: Ego te baptiso in nomine Patria et Filia et Spiritus Sancti; onde nacque il dubbio che il battesimo, amministrato così, potesse non esser valido, e la questione fu portata davanti a papa Zaccaria.2 Nello stesso secolo, a Roma, perfino le lettere de’ papi non rispettavano più nè le leggi della grammatica, ne quelle della logica.3

Ma, in generale, il fervore cristiano contro la latinità classica produsse i suoi effetti più di là dalle Alpi, che in Italia, dove, anche ne’ tempi più tenebrosi, la coltura non fu mai esclusivo patrimonio de’ chierici; e dove anzi, specialmente fuori di Roma, i chierici stessi coltivavano spesso con ardore e con intenti artistici le letterature antiche; sicchè, mentre presso le altre nazioni fiorivano, e assai più che tra noi, i soli studi

  1. Ibid., tom. I, pag. 6.
  2. Demogeot, Histoire de la Littérature française; Paris, 1864; pag. 54.
  3. Gregorovius, Op. e loc. cit.