Non lo prezo un genoì,1
Nè t’entend chiù d’un Toesco
O Sardesco o Barbarì,2
Ni non ho cura de ti:
Vo’ ti cavillar con mego?
Se lo sa lo meo marì,
Malo piato avrai con sego.
Bel Messer, vero ve di’:
Non vollio questo latì;3
Frare, zo aia una fi;4
Provenzal, va, mal vestì,
Lagame star.5
|
A questi tre documenti potrebbe anche aggiungersi la poesia che va sotto il nome di
- ↑ Piccola moneta, principio di computo in Genova, come il bolognino a Bologna.
- ↑ Non t’intendo più d’un Tedesco, o Sardo, o nativo di Barberia.
- ↑ Non voglio questo latino, cioè questo linguaggio.
- ↑ Fratello, ciò abbia una fine: facciamola finita.
- ↑ Lasciami stare. (Galvani, Un Monumento linguistico genovese dell’anno 1191, nella Strenna filologica modenese per l’anno 1863; pag. 84-94.) — All’ultimo decennio del sec. XII, o al principio del XIII, appartiene anche il discordo poliglotto dello stesso Rambaldo; perchè essendo diretto al Belhs Cavaliers, cioè alla sua amante Beatrice di Monferrato, dovette di certo scriverlo dopo la sua venuta in Italia (1186-89), di dove partì per seguire nella quarta crociata il marchese Bonifazio, fratello o, più probabilmente, padre di Beatrice, col quale morì combattendo in Oriente nel 1207. Ma la seconda strofa del discordo, e il terzo e quarto verso dell’ultima, che dovrebbero essere scritti in alcuno de’ nostri idiomi, ci son pervenuti, come tutto il resto del componimento, in tale stato, che, anche dopo l’edizione critica del Meyer, non si riesce a determinare qual sia codesto idioma. Contengono bensì parecchie forme schiettamente toscane; anzi schiettamente toscano è tutto il quarto verso dell’ultima strofa:
Ieu so quel que ben non aio, Ni encora non l’averò Per abrilo ni per maio, Si per ma dona no l’ho; |