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dam Placito da Porta Argenta, testis. (Carta milanese, nel Muratori, Diss. cit., 479.)

A. 788. Constat me Arimundi filio bone memorie Desiderio de Civitate astense accepisse et accepi ad te Augustino Clericus dinarios argenteos nomeri trigenta, fenido [finito, intero?] precio pro pecia una de campo, quam avere viso sum inter consortis et germanos meos ex integrum mea porcione de ipso campo et cum antecessura de pradello. (Hist. patr. Mon., vol. cit., pag. 23.)

A. 792. Un contadino prende a coltivare un podere da Giovanni, vescovo di Lucca, e si obbliga a dargli ogni anno, tra l’altre cose, medietate vino puro. (Docum. Lucch., tom. cit., pag. 138.)

A. 799. Alia pettia de terra in ipsu locum abentes fine de duas parti fine bia. (Carta salernitana, nel Codex Diplomaticus Cavensis; tom. I, pag. 4.)

Da documenti di questi stessi tempi risulta che a Roma si diceva Porta Majore nel nominativo;1 e nel Liber Pontificalis di Agnello Ravennate,2 scritto nella prima metà del IX secolo, abbiamo un curiosissimo fatto. Quando Carlo Magno passò per Ravenna, l’arcivescovo Grazioso e altri lo invitarono a pranzo; e i maggiorenti del clero, conoscendo il loro arcivescovo per uomo di gran semplicità, lo ammonirono in buoni termini, perchè alla presenza del sovrano non se ne lasciasse scappare qualcuna delle sue. — Domine, retine simplicitatem tuam, et cave ne aliqua loquaris quae

  1. Gregorovius, Storia della città di Roma; lib. IV, cap. V, § 3.
  2. Muratori, Rer. Ital. Script., tom. II, pag. 179-80.