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troverebbe almeno novanta usate da lui anche nelle orazioni o nelle altre sue opere. Insomma, a dir tutto in poco, la diversità che egli accenna a Papirio Peto non è di lingua, ma di stile; e la frase plebejo sermone, addotta così spesso per provare l’esistenza di quella specie di muraglia della Cina tra il latino scritto e il parlato, o tra il latino nobile e il popolare, prova invece per l’appunto il contrario!1


VI.


Coloro che seguendo il Diez anche in questa parte non buona del suo magistrale lavoro, si ostinano ancora a fare del latino due lingue o quasi due lingue, una letteraria o nobile, e l’altra popolare, volgare o, peggio, rustica, dicono che da quest’ultima son derivate le lingue romanze.2

  1. “Così, le parole tante volte citate di Quintiliano: nam mihi aliam quandam videtur habere naturam sermo vulgaris, aliam viri eloquentis oratio (Inst. Orator., XII), non pongono e non esprimono una differenza tra una lingua letteraria e una lingua volgare o comune, ma tra il parlare d’un uomo eloquente e il parlar d’un idiota. Possono avere in bocca la stessa lingua e maneggiarla in modo molto diverso.„ (Zendrini, Della Lingua italiana; Palermo, 1877; pag. 65.)
  2. E, s’intende, che alcuni hanno anche esagerato il pensiero del maestro, del quale ecco qui le precise parole nella fedelissima traduzione francese: “Toutes [les langues romanes] ont dans le latin leur première et principale source; mais ce n’est pas du latin classique employé par les auteurs qu’elles sont sorties, c’est, comme on l’a déjà dit souvent et