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addotti dal Rajna1 contro codesta provenienza dell’endecasillabo, presi nel loro complesso, hanno in verità molto peso: ma pure, da una parte la ragionevole induzione che tutto ciò che v’ha d’importante nelle lingue romanze debba esser latino; dall’altra la strettissima somiglianza dell’endecasillabo col saffico minore:

Saeculum Pyrrhae nova monstra questae;

col trimetro giambico catalettico:

Ignotus heres regiam occupavi;

col falecio:

Disertissime Romuli nepotum,

e con qualche altro di tali versi, saranno sempre una gran tentazione per chiuder le orecchie a qualunque argomento in contrario, che non abbia una piena e assoluta certezza.

Anche la rima s’incontra qualche volta nei classici greci e latini; e s’incontra non solo usata per caso, ma intenzionalmente come mezzo stilistico, quale è di certo, se non nel primo, nel secondo di questi due esempi:

Non satis est pulcra esse poëmata; dulcia sunto,
Et quocumque volent animum auditoris agunto.
                                              Hor. Epist., II, 3, 99-100.
Quot caelum stellas, tot habet tua Roma puellas.
                                              Ovid. Ars am., I, 59.

Insomma, il linguaggio, come tutti gli organismi viventi, mutando le condizioni di vita, manifesta e svolge energie o facoltà prima nascoste o non avvertite. E le lingue romanze, specialmente

  1. Op. cit., pag. 506-28.