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della lingua italiana | 19 |
nia, si confondevano con quelle de’ nomi e degli aggettivi.1
Tutte, per evitare altre confusioni, conseguenza anch’esse dello scadimento fonetico, e insieme per distinguer meglio certi momenti dell’azione, fecero i medesimi cambiamenti nel verbo: estesero, cioè, l’uso di habere per ausiliare; abbandonarono la forma passiva amor (sono amato), che, caduto l’r, si confondeva con l’attivo amo, e vi sostituirono l’ausiliare essere col participio passato;2 arricchirono la coniugazione col passato prossimo e col trapassato remoto, che in latino si confondevano col passato remoto, giacchè amavi, per esempio, poteva significare tanto amai, che ho amato ed ebbi amato; aggiunsero un nuovo modo, il condizionale, che in latino era incluso nel congiuntivo; e poichè le terminazioni del futuro, amabo, tacebo, dicam, venivano confondendosi con l’imperfetto amabam, tacebam, e col pre-
- ↑ Ma in valacco, secondo il Diez (Op. e vol. cit., pag. 428), c’è un solo avverbio in mente: altmintrea, che però nel vocabolario del Laurianu e del Massimu è registrato in forma diversa: altramente, altamentre, ecc. L'esemplare altra-mente, o meglio altre-menti (altrimenti, cfr. parimenti) è forse il più antico della serie, e certo uno dei più antichi e anche un po’ sui generis. (Cfr. Ascoli, Arch. Glott., vol. VII, pag. 585.)
- ↑ Anche di quest’uso si può vedere un principio ne’ buoni autori, quando adoperano col verbo esse il participio in forza d'aggettivo, come in Cesare: Gallia est omnis divisa in partes tres, invece di dividitur. — In rumeno, la forma più comune del passivo è questa: eu me laud, che significa tanto io mi lodo, quanto io sono lodato. Può tuttavia formarsi anche con l’ausiliare essere; allora però il participio conserva l’idea del passato, e quindi frate meu este leudat non vuol dire mio fratello è lodato, ma è stato lodato, come il latino laudatus est. (Cfr. Diez, Op. e vol. cit., pag. 243-44.)