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in tutte gli stessi, ne viene di conseguenza che la loro vera ed intima sorgente non potè essere che una sola.

Tutte, infatti, conservarono scrupolosamente, salvo poche eccezioni, l’accento tonico sulla medesima sillaba che l’aveva in latino, e che è come l’anima o il perno della parola.

Tutte, per l’indebolimento fonetico e la conseguente trasformazione o caduta delle desinenze, perdettero, prima o poi, i casi della declinazione latina; e vi sostituirono un più speciale uso delle preposizioni, del quale però, al solito, si trovano tracce anche ne’ classici (ad carnificem dabo, invece di carnifici dabo, in Plauto; de duro ferro aetas, invece di ex duro ferro aetas, in Ovidio, e molte altre simili).1

  1. Del resto, e com’è naturale, la stessa declinazione latina non era stata sempre quella del secolo d’Augusto e delle comuni grammatiche. Per esempio, il dativo e ablativo singolare populo era stato nel latino arcaico populo-i e populo-d, forme più vicine alla declinazione protoariana, che oggi si tenta di ricostruire, e che sicuramente aveva un dativo singolare in ai e un ablativo singolare in at o in t. — Il caso locativo del protoariano, terminante in i, e conservatosi nell’osco (moíníkeí tereí, nella comune terra) e in altre lingue sorelle, nel latino andò invece perduto, perchè si confuse foneticamente col genitivo o col dativo; e vi fu sostituito l’ablativo con la preposizione in. Ma pure, un vestigio ne rimase in que’ complementi di stato in luogo (Cypri, domi, humi, ecc.), che la grammatica classica ci dà senza ragione per genitivi. — Nel passaggio poi dal latino alle lingue romanze, i casi non potevano andar perduti tutti in un giorno: infatti, il provenzale e l’antico francese conservarono fino al cadere del secolo XIV, due desinenze diverse, una per il soggetto o nominativo, l’altra per i complementi (Cfr. Littré, Op. cit., passim); e alle sorgenti del Reno (ladino di
2 — Morandi, Origine della Lingua Italiana.