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14 | origine |
Ma là pure dove la resistenza degl’idiomi indigeni dovette esser maggiore, e la lotta più lunga e ostinata, la vittoria finale del latino, se si guarda al corpo e all’organismo della lingua, più che alle particolarità della pronunzia, non poteva esser più intera; giacché, per esempio, è vero che da un passo di Aulo Gellio possiamo ragionevolmente argomentare che nel secondo secolo dell’era nostra, nelle Gallie e in Etruria, vivessero ancora più o meno gl’idiomi indigeni;1 ma è vero altresì che questi idiomi furono alla fine sopraffatti dal latino in tal modo, che nel francese moderno le parole di accertata origine celtica non son più d’una ventina, e negl’idiomi toscani è scomparso ogni vestigio perfino di voci etrusche comunissime, di quelle cioè che il popolo men facilmente dimentica, come clan (figlio), verse (fuoco), gapos (carro), damnos (cavallo), ecc. E si noti che nel francese moderno non restano ormai altro che un secentocinquanta vocaboli d’origine ignota; sicché, se anche parecchi di essi appartennero, come è probabile, al celtico, le tracce lasciate da questo nel Vocabolario della nuova lingua sarebbero sempre ben povera cosa.2
- ↑ Noctes Atticae, lib. XI, cap. 7.
- ↑ Il celtico però resistette e resiste ancora in tutto il dipartimento di Finistère, meno le città; in una metà circa dei dipartimenti delle Côtes-du-Nord e del Morbihan, e in un piccolo angolo della Loire-Inférieure. Ma bisogna ricordarsi che in questi luoghi esso ci è rimasto non tanto per
zarsi sempre più, incalzato com’è dallo spagnolo e dal francese, (Crf. Whitney, La vita e lo sviluppo del linguaggio; traduzione di F. D’Ovidio. Milano, 1876. — Hovelaque, La Linguistique. Deuxième édition. Paris, 1877.)