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M’avria coperta; ma più dolce, il credi,
935Sì, più dolce è il morir della tua mano.
Da questo core dileguarsi io sento
L’orrore onde pur dianzi era ricinto;
Da’ tuoi guardi una luce in me discende,
Che, come l’alba del perdon celeste,
940Mi rallegra lo spirto, e se pietoso
Dicessi a me che perdonata io sono,
Ridirìa quegli accenti in paradiso
Tutto festante de’ celesti il coro.
Ma tu deh! soffri e vivi, Azimo mio;
945Vivi se unqua m’amasti, e se pur brami
Tornare un giorno colla tua Zelica
Vivi e prega per lei; vivi ed inchina
Supplicante i ginocchi a mane, a sera
Nanzi a quel Dio che mai pregato invano
950Non fu da core immacolato e puro
Siccome è il tuo; da lui deh! tu m’implora
E pietade e perdono ond’ei m’accolga
Nella tua santa compagnia beata.
Vanne a’ campi felici, ove congiunti
955I nostri furo giovinetti cori;
Ivi in ogni aura, che ti mova intorno
Dall’olezzo de’ fiori imbalsamata,
Novellamente sentirai l’ebbrezza