Pagina:Moore - Il profeta velato, Torino, 1838.djvu/121


[116]

Quale or costui, che digrignando i denti
760Con orribil dileggio altrui schernisce.
«Ecco, o devoti miei, la venerata
Maestà del mio volto! ecco la luce,
Ecco la stella che toglieste a guida!
Insensati! voleste esser lo scherno
765E le vittime altrui? — bene — lo foste.
Siete paghi? o degg’io, mentre vi resta
Pur nel seno di vita una favilla,
Pigliarvi ancora a gabbo? Or via; giurate
Che la morte vorace, onde consunte
770Son le viscere vostre, è appena un lieve
Saggio del gaudio che v’appresta il cielo;
Che questo sozzo ceffo, abbenchè sozzo
Quant’altro mai si sia veduto in terra,
E pur d’Allà la più gentil fattura,
775E che — ma ve’! — quest’anime villane,
Pria d’udir tutto il mio saluto, han preso
Il loro volo. — Addio, spirti soavi!
Se diletti ad Eblisse ora giugnete
Quali a me foste, non morite invano.
780Oh! tu quì, sposa mia! — bene! t’assidi;
Non tremar — t’avvicina. — E che? paura
Ti fan gli estinti? Non ricordi, o cara,
Ch’ei furo al rito nuzïal presenti