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che adoperavano ogni profano tesoro nel rendere più magnifico e venerando il Santuario dell’Eterno.

Come nella filologia e nella storia, così nell’archeologia, l’universalità degli studi fa spiccare la virtù sintetica dei forti intelletti, ed apre il varco alla soluzione delle più difficili controversie. Perciò di buon ora il Professore d’Ermeneutica spinse gli sguardi curiosi nelle antichità Egizie; e il primo impulso gli venne da un avvenimento, pel quale gli storici degli odierni progressi scientifici dovranno scrivere una pagina assai gloriosa per l’Italia, e per un altro dei più eletti suoi figli.

Di già il Champollion, qual novello Colombo, aveva scoperto l’antico mondo degli Egizj, rivelando il linguaggio che con migliaja di strane figure e di cifere arcane sta impresso sugli involucri delle mummie, sui tempi, sulle piramidi, sugli obelischi, negli ipogei di quel popolo singolare, al quale più stavano a cuore gli onori dopo la morte, che le glorie caduche e passeggiere della vita. Un altro allievo del Mezzofanti, affettuosissimo amico del Cavedoni, il giovane Rosellini Professore Pisano, divulgava pel primo in Italia quel trovato meraviglioso, che il grande poliglotto ben tosto adoperavasi anch’esso a propagare.

Ma il discepolo del Champollion ne diveniva ben presto l’amico anzi il fratello. Il progetto di una spedizione scientifica in Egitto, favorito prima dal Governo Toscano poscia accettalo non senza difficoltà anche da quello di Francia, appagava i voti dei due dotti compagni; che in un impeto d’entusiasmo per la scienza novella osavano un giorno divisare un viaggio nelle misteriose contrade dei Faraoni. E colà trasportati, con quell’animo invitto che non fiacca o disfranca a vcrun rischio, s’internarono nelle tombe quasi innumerevoli