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contava fra i suoi più degni ammiratori i chiarissimi cattedratici dai quali ho l’onore di essere circondato, io mi figurava in certa guisa di rispondere a un loro voto, e quindi di ottenere alle povere mie parole più generosa indulgenza. Tanto più che riesce assai malagevole od impossibile, costringere nelle angustie di un discorso le lodi di un ingegno ragguardevole per le più svariale prerogative, ciascuna delle quali fornirebbe di per se argomento di compiuto elogio. Egli fu infatti versatissimo nella letteratura di quelle due nazioni alle quali fu accordato dal cielo il raro privilegio di ammaestrare tutte le altre: ei fu Archeologo e filologo profondo nei biblici studi, insigne autore d’epigrafi latine, benemerito dell’italica e della provenzale letteratura: e niuno palesò meglio di lui da qual vincolo di solidarietà sieno fra loro collegati gli studi i più apparentemente disparati. Ond’è che mentre io m’accingo a delinearne un’imagine, fate ragione, o Signori, che io aspiro non già a descrivere la storia de’ suoi meriti, ma a darne un cenno, e non già a tesserne l’elogio, ma a porgere un omaggio alla sua memoria.
Gli amatori della scienza rammentando le glorie dell’Italia nostra, per due volte maestra di civiltà al mondo intero, sogliono con sensi di magnanima invidia riguardare al valore ed alla fama d’uomini egregi nelle opere del pensiero, onde vanno segnalate le più colte nazioni. Ai medesimi debbe tornare assai caro il riflettere che, all’età nostra, due sommi Archeologi, Mons. Celestino Cavedoni e il Conte Bartolomeo Borghesi, sostennero il vanto dell’antico sapere, e in guisa il fecero da non essere né superati né pareggiati da veruno fra gli stranieri. Stretti insieme per lunghi anni da un vincolo comune d’amicizia e di studi, consacrarono tutta la lor vita alla scienza;