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TERZO. | 57 |
LXXI.
Avari, io già so ben, che a mie parole
L’ingrossata coscienza non respira,
E fate quivi quel che dir si suole,
Come l’asino al suono della lira:
Bensì del vostro male il cuor mi duole,
Piange l’animo mio, geme, e sospira,
Sed vana fit effusio mei Sermonis,
Perchè induratum est cor Pharaonis.
LXXII.
Alle sostanze altrui voi v’attaccate
Con le mani viscose, e le tenete
Spesso nel maneggiar pubbliche entrate
Quelle con penna alleggerir solete;
E se denari al povero prestate
Cento per uno guadagnar volete
Per fas, e nefas; e poi per Salviano
Sempre la roba altrui volete in mano.
LXXIII.
Gridar or mi convien con voce viva
A voi uomini, e donne, che mi udite,
Che alla natura vostra assai lasciva
Di mala carne oggi il macello aprite:
E mentre il senso di ragion vi priva,
Corrotto il corpo l’anima tradite;
A tentazion di carne vi piegate,
E come il visco a quella v’attaccate.