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TERZO. 41


XXIII.


Perciò quivi doman tutti v’aspetto,
     Dopo che vi sarete confessati,
     Ove con questo santo e benedetto
     Pegno voi resterete consolati;
     Che se vero non è quanto v’ho detto
     Possiate esser per me tutti squartati:
     E chi la bacerà sarà sicuro
     Da moschettate dietro un grosso muro.

XXIV.


Ma l’Oste, o sia Padron della Locanda,
     Di guastargli pensò quest’invenzione,
     Stimando furberia troppo nefanda
     Il gabbare in tal guisa le persone:
     Pensi, dicea tra se, che dalla ghianda
     Le fave io non distingua, o birbantone;
     Ma se non ti corbello a modo mio,
     Dimmi che non son Oste affededdio.

XXV.


La sera dunque mentre il Ciarlatano
     Lietamente con altri a mensa stava
     Col pensier di gabbare il buon Cristiano,
     L’Oste di gabbare lui pur s’ingegnava;
     Alle scatole sue dato di mano,
     La penna che trovò ratto ne cava,
     Ed in vece di quella un sasso pose
     Dentro di essa, e poi la Penna ascose.