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12 | CANTO |
XXXII.
Nè di coloro fu, che son Fratelli
Di quel che fe’ la tara a’ Sacramenti,
E nella Chiesa poi tanti ribelli
Fece in virtù di suoi bugiardi accenti;
Ne men ascritto era costui tra quegli,
Che dal chieder lontani, ed astinenti
Son rettorici bravi, e con pazienza
Aspettano da Dio la provvidenza.
XXXIII.
Ma dirò ben, ch’egli era d’una setta,
Che col Demonio in furberia l’impatta:
E come appunto intorno al topo affretta
L’unghie rapaci la golosa gatta:
Di ricchi infermi intorno al letto aspetta
L’eredità con pio pretesto estratta;
E la roba tirando in morte, e in vita
Del secolo di ferro è calamita.
XXXIV.
Il Padre era chiamato il Petraccioli,
Già fatto alunno d’uomini sì buoni,
Che in odio hanno le rape, ed i fagioli,
Ed amano le starne; ed i capponi;
Fabbricano palazzi, ed alte moli,
E secondano in lor l’inclinazioni;
Altri alla Chiesa, altri alle scuole attende,
Ed altri in piazza i falli altrui riprende.