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QUINTO. | 95 |
XXXVIII.
O Tartari nostrali imbastarditi,
Furbi di sette cotte, e gente alpina,
Zingari di montagna, e degli Sciti
Razza peggior assai, ladra, assassina;
Non son da voi mai buon costumi usciti,
Perchè raspa chi nasce di gallina,
Nè caca lupo agnelli; e se la vacca
I figli fa, le corna ancor gli attacca.
XXXIX.
Così nel suo principio salutava
Quei popoli; e dipoi gli riprendeva;
Con molti esempj, che lor raccontava,
Gli inteneriva, e pianger li faceva;
Il pelo alla coscienza gli levava
Di sua lingua il rasojo che radeva:
Toglieva via dalla lor carne impura
Il quojo grosso, e la pellaccia dura.
XL.
La parte loro poi fecero anch’essi
Col raccontar gl’inveterati vizj,
Volontari omicidj, e furti espressi,
Contro il prossimo assai cattivi offizj.
D’aver ancor poveri, e ricchi oppressi
Con ladrocinj, e fino in benefizi;
Ed altre cose pubbliche, e segrete,
Che in confession giammai le seppe il Prete.